venerdì 28 ottobre 2011

Gilad Shalit

L'ipocrisia israeliana sul caso Shalit è molto più profonda di quanto scrive Gideon Levy, per quanta stima possa avere per lui. Dice bene quando afferma che ci sono molti altri soldati nelle condizioni di Gilad Shalit, ma è proprio quando si domanda perché Shalit sì e gli altri no che la mia interpretazione cambia. Il governo israeliano ha puntato forte su Shalit (il temine "puntare" è intenzionale, come gergo delle scommesse) non perché l'avesse a cuore, ma perché aveva bisogno di un simbolo unificatore da spandere ovunque attraverso i media. Lo si capisce da tre cose: primo, per quanto ne so, Shalit non ha nessuna "caratteristica particolare" dal punto di vista delle sue oponioni politiche o della storia personale, anzi l'essere "uno qualunque" lo fa identificare con ogni israeliano; secondo, è uno solo, nel senso che il governo non si è impegnato per la liberazione dei soldati ostaggi di gruppi palestinesi, nel loro insieme, per una campagna autenticamante politica, ma ha usato un uomo singolo come simbolo, quasi un archetipo, come leva per raccogliere consenso; terzo, il governo ha posto una specie di ricatto morale molto sottile alla popolazione: chi non vuole Shalit libero? Chi non supporta i nostri soldati? Chi è amico dei terroristi? - come qui in Italia: chi può dire di non volere la "libertà"? - Quando si pongono queste domande, si obbliga l'interlocutore a dare una sola risposta, che poi viene "afferrata al volo" e trasformata in consenso al proprio operato e al proprio programma politico. Molti venditori conoscono questa tecnica. Questa è la vera mistificazione: fare la voce grossa su un tema (la libertà di Shalit) su cui non credo ci fosse molta divergenza d'opinione in Israele, raccogliendo facili consensi, anziché affronare argomenti controversi e spinosi, osando infrangere schemi consolidati, e rischiando di farsi dei nemici. La vicenda mediatica di Shalit è totalmente costruita, dalla prima all'ultima parola. Invito a rivedere "Sesso e potere" (Wag the dog) con Dustin Hoffmann e Robert De Niro: di "eroi su misura" è pieno il mondo.