domenica 25 novembre 2007

Götterdämmerung

Lo so, sono ancora molto potenti. Chiaramente ci vorrà del tempo. Forse manterranno un ruolo importante in alcuni aspetti particolarmente difficili, come la ricerca scientifica di alto livello. Ma già ora si intravede la Caduta degli Dei, il declino degli Stati Uniti. Per fortuna non sarà l'apocalisse, anzi probabilmente un'America meno ingombrante potrebbe - nel corso degli anni - dare la stura a una serie di questioni rimaste, diciamo, in sospeso, o meglio in accomodamento provvisorio, e che potrebbero finalmente trovare una sistemazione più consona: dalla questione palestinese a nuove misure oltre il Protocollo di Kyoto, dalla autonomia culturale (film, libri, musica, etc) della periferia dell'impero a un'Europa più autonoma nelle sue scelte, quindi con più potere e - va da sè - più capace di rispondere delle proprie azioni. Ma questi sono solo esempi: la lista sarebbe lunga.


Come "misurare" la potenza di un paese? Se non fossimo di questo pianeta e arrivassimo qui, che sistema useremmo per capire qual è la nazione più potente? I0 penso che un buon sistema possa essere quello di andare a vedere chi crea gli eventi e chi, invece, reagisce ad essi; d'altra parte vale lo stesso anche fra le persone. Se si va indietro, Roma non è caduta semplicemente per le invasioni barbariche di massa: quello fu solo l'ultimo atto, la conclusione di un processo durato qualche secolo. Tutto era iniziato perché ormai l'impero era così esteso che dalla capitale era difficile controllare i confini, sui quali premevano popolazioni desiderose di coltivare i campi, probabilmente rimasti sottoutilizzati dato che nei periodi fiorenti la popolazione si concentra nelle città. Perciò Roma, per evitare grane (vale a dire, invasioni aggressive) decise di concedere in uso quelle terre ai popoli oltreconfine; in cambio chiedeva di sorvegliare i confini stessi da ulteriori estranei. Come bonus, inoltre, si trovava un aumento della produzione agricola che di sicuro non guastava. Questi si insediarono, coltivarono, fondarono villaggi, iniziarono commerci e fecero figli. Col tempo, già dalla seconda o terza generazione parlavano solo latino. alla quarta o quinta ci poteva già essercene qualcuno a Roma, per commercio all'ingrosso o per studio; alla sesta o settima, già ci stavano a Roma per politica o per l'esercito. Alla fine, molti generali erano di origine barbarica (anche perché erano obiettivamente molto più abili, dal punto di vista professionale) e varcarono anche le soglie del potere politico.
Be', prova a rileggere mettendo Washington al posto di Roma, e pensando che ora siamo noi la periferia dell'impero, colonizzata culturalmente dopo la II Guerra Mondiale, con appunto popolazioni che da fuori premono per entrare, pronte a fare i lavori che qui nessuno vuole (ieri i campi, oggi l'operaio), i cui figli hanno l'italiano come lingua primaria, e poi il resto viene da sé. Questo non significa che le infiltrazioni esterne hanno causato lo sbriciolamento dell'impero dall'interno, e che quindi occorre impedirle. Però significa che Roma, di fronte a queste pressioni, all'inizio di tutta la vicenda, forse per la prima volta si è trovata di fronte a un evento decisivo, storico, che non era stato creato da essa, e di fronte al quale si trovava come chi ha il nero negli scacchi: muove per secondo, è condannato a reagire anziché agire. Da quel momento il potere di Roma non ha fatto che scendere.
Ma che cosa aveva causato quella situazione? Paradossalmente, proprio la forza di Roma: era, per definizione, "centro" e le altre regioni erano "periferia". Anche chi non stava nel territorio dell'impero aveva comunque lo sguardo in direzione di Roma, vuoi per commercio, vuoi per politica, vuoi per diplomazia o altro. Roma e le altre sue città erano il punto di riferimento per praticamente tutto, e un sacco di gente ambiva a entrarci. Anche solo entrare nel territorio e viverci, magari diventare cittadini romani, era una prospettiva molto ambita. Avrebbe assicurato una vita più agiata per sé e per i propri figli. Questa stessa capacità di attrazione per le popolazioni, come una calamita, ha portato Roma a subire gli eventi anziché produrli.

E oggi?... Qual è la situazione per gli Stati Uniti?... Mi sembra chiaro che la miopia dell'amministrazione Bush ha portato l'America ad essere sopraffatta dagli eventi, non è più il ciclista in fuga ma è il gruppo che insegue, col fiato corto. L'11 Settembre è stato l'evento che forse ha segnato l'inizio di questo corso, quello che per primo ha messo gli USA di fronte a un fatto a cui dovevano reagire, ma che proprio per questo era già "vincitore" in sé, perché ha "mosso per primo". Da quel momento è stato tutto un inseguimento: Guantanamo, l'Iraq, l'immigrazione dal Messico, l'Iran, la Russia, la svolta sudamericana, la Cina, il protocollo di Kyoto, la questione petrolifera-energetica-situazione mediorientale, il tribunale internazionale per i crimini di guerra, la globalizzazione, le nuove forme di energia e di locomozione, solo per parlare delle questioni principali. Per la prima volta l'America sta diventando "antiquata".

D'altra parte, anche dal punto di vista puramente economico e aziendale, sembrano un gigante dai piedi d'argilla: la favolosa esposizione finanziaria per finanziare la guerra e la "lotta al terrorismo" e per tenere in piedi uno status quo mondiale che favorisca le proprie aziende, risulta così imponente che il governo ha dovuto finanziarsi emettendo buoni del tesoro, che sono stati acquistati in gran quantità dalla Cina che ha un surplus commerciale altrettanto impressionante. La conseguenza è che ormai l'economia americana è in mani straniere, e la cosa è accentuata dal dollaro debole, che avrebbe la funzione di facilitare la esportazione delle aziende americane, ma che favorisce anche l'acquisizione delle stesse da parte di acquirenti esteri. Si comincia anche a discutere se sia il caso di passare all'euro come valuta per il mercato petrolifero, e la crisi dei subprime sta portando conseguenze di larga scala. D'altra parte c'è anche chi dice che l'Iraq volesse proprio commerciare il petrolio in euro, e che sia stata questa la vera motivazione dell'intervento americano. Il fatto che ora, dopo tutto quello che è successo, si torni a parlarne significa in sostanza che il tentativo di porre a tacere la questione è fallito, così come quello di frenare lo sviluppo di energie pulite e di negare il riscaldamento globale.

Essendo abbonato al Time sto seguendo la campagna presidenziale americana da un osservatorio privilegiato, e l'impressione che ne sto traendo è che la vera domanda non è se vincerà un repubblicano o un democratico, ma quale democratico vincerà - e man mano che ci si avvicina al 2008 anche questa domanda sta diventando sempre più scontata. In pratica, sembra quasi di poter dire che il prossimo Presidente sarà chi vincerà le primarie democratiche. I candidati repubblicani sono un insieme di individui improbabili quando non sospetti, anziani, poco dinamici, pochissimo carismatici e con l'aria di essere dei "riciclati" messi lì da qualcun altro, al soldo delle lobby più potenti. Sono finti. Nel partito c'è discordia e indecisione: insistere nella linea dura su tutti i fronti, ignorando i molteplici fallimenti - e creandone altri, o venire incontro ai democratici ammettendo implicitamente il proprio torto? Qualunque cosa sceglieranno, non farà che rafforzare l'area progressista. Si sono messi in un vicolo cieco.

Non è l'America ciò che sta finendo. E' il tipo di vita che gli Americani avevano impostato per sé (e per gli altri) da molto tempo, e di conseguenza anche il modo con cui si rapportavano al resto del mondo. Un mio amico (http://www.nichilista.it/ - anche fra i links) è stato a lungo in America e mi spiegava che il loro territorio è così vasto, sterminato, che un americano può passare tutta la sua vita senza mai uscire dai confini, anche traslocando molte volte, ed è quello che succede a molti. Ci sono film di Spike Lee che raccontano di ragazzi di gang che non vivono più di 40 anni e che per tutta la loro vita non escono dal loro quartiere di Harlem o del Bronx, perché se lo facessero i rivali delle altre gang gli sparerebbero. Nelle cittadine qualunque le notizie vengono dal giornale della contea o dalla radio o TV locale. Già Washington o New York sono lontane; ma Londra, Parigi, Roma, Berlino, Mosca... sono su altri pianeti, visti da lì - e magari i cereali nel loro cucchiaio la mattina vengono proprio da quei pianeti lontani a cui loro succhiano il sangue senza neanche saperlo. Ecco, quello che credo di aver capito (ho parenti americani e sono stato là) sono due cose: che l'America, vista da dentro, è come una madre premurosa che nutre (anche troppo) e protegge i suoi figli e li fa star bene, ma lo fa poggiandosi sul sangue e sulla sofferenza dei figli degli altri, e anche sul pianeta stesso. e che l'America, vista da dentro, è un mondo a sé stante, una incredibile gigantesca astronave che contiene tutto quel che può servire, dai paesaggi ai climi più disparati, dalle città ai piccoli villaggi, ogni tipo di persone e di incontri e situazioni, e cose da comprare e novità tecnologiche e posti (interni ovviamente) dove andare in vacanza, e un'infinità di tipi di vite possibili e frequentazioni le più diverse. E' talmente varia che non viene neanche voglia di uscire; anzi, se si ha voglia di vedere stranieri niente di più facile, sono loro a visitare il nostro paese, allo stesso modo e per gli stessi motivi per cui una volta tutti convergevano verso Roma. Ma tutto questo comporta almeno uno svantaggio per loro, che riassumerei in questa frase: noi (la periferia) sappiamo di loro molte più cose di quante loro ne sappiano su di noi. Una volta mentre ero là, quando parlando con un tipo gli ho detto che sono italiano, quello mi ha chiesto se qui ci spostiamo con gli elefanti o abbiamo già le auto; io invece, su di loro ad esempio so che giovedì 29 novembre, alle 20 ora della costa est, si è svolto il dibattito dei candidati repubblicani ed è andato in diretta su Youtube. Il punto è che tutto quel loro auto-farsi-pubblicità con i film, le tendenze, le arti, le novità tecnologiche, l'american way of life, ha portato il mondo a puntare gli occhi verso di loro, a scrutare ogni loro movimento, seguirne ogni respiro, vuoi per prenderli come esempio vuoi per distaccarsene; fatto sta che sono il paese più osservato del mondo. E come ho già detto, quest'attenzione non è affatto reciproca. Questo è, guarda caso, proprio la premessa perché accadano dei fatti indipendenti da sè, a cui occorre reagire. Ossia: subire gli eventi anziché generarli. Già adesso, di fatto, nei confronti di Russia, Cina, Venezuela (e quasi tutto il Sudamerica), India ecc, si trovano in posizione di inseguitori col fiato corto, quando non impotenti.
Proprio queste due cose dovranno cambiare - e cambieranno - dell'America. Solo se sapranno avere più rispetto (meno rapine) per gli altri paesi e le altre civiltà, e se avranno più curiosità e apertura per il "mondo esterno", potranno continuare a prosperare ed evitare di fare la fine di Roma. Stiamo andando verso un mondo multipolare, profondamente diverso dal mondo spaccato in due dalla guerra fredda: ogni zona del pianeta farà capo a una certa nazione-guida o a un gruppo di nazioni, con dei valori tipici, un certo modo di vivere e una certa concezione dello stato. Il fatto che ce ne saranno più di due dovrebbe scongiurare contrapposizioni rigide, anzi più ce ne saranno più si potrà parlare di "convivenza di mondi"; a patto che nessuno sia troppo più grosso o potente degli altri...

[PS - Time ha messo MDI, l'auto ad aria compressa (vedi il mio primo post) tra le invenzioni dell'anno!]