venerdì 7 dicembre 2007

Da Italo Calvino, Le Città Invisibili

L'Inferno dei viventi non è qualcosa che sarà, se ce n'è uno è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne: il primo riesce facile a molti, accettare l'inferno e diventarne parte, al punto di non vederlo più; il secondo [è più difficile] ed esige attenzione ed apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno; e farlo durare, e dargli spazio.

domenica 25 novembre 2007

Götterdämmerung

Lo so, sono ancora molto potenti. Chiaramente ci vorrà del tempo. Forse manterranno un ruolo importante in alcuni aspetti particolarmente difficili, come la ricerca scientifica di alto livello. Ma già ora si intravede la Caduta degli Dei, il declino degli Stati Uniti. Per fortuna non sarà l'apocalisse, anzi probabilmente un'America meno ingombrante potrebbe - nel corso degli anni - dare la stura a una serie di questioni rimaste, diciamo, in sospeso, o meglio in accomodamento provvisorio, e che potrebbero finalmente trovare una sistemazione più consona: dalla questione palestinese a nuove misure oltre il Protocollo di Kyoto, dalla autonomia culturale (film, libri, musica, etc) della periferia dell'impero a un'Europa più autonoma nelle sue scelte, quindi con più potere e - va da sè - più capace di rispondere delle proprie azioni. Ma questi sono solo esempi: la lista sarebbe lunga.


Come "misurare" la potenza di un paese? Se non fossimo di questo pianeta e arrivassimo qui, che sistema useremmo per capire qual è la nazione più potente? I0 penso che un buon sistema possa essere quello di andare a vedere chi crea gli eventi e chi, invece, reagisce ad essi; d'altra parte vale lo stesso anche fra le persone. Se si va indietro, Roma non è caduta semplicemente per le invasioni barbariche di massa: quello fu solo l'ultimo atto, la conclusione di un processo durato qualche secolo. Tutto era iniziato perché ormai l'impero era così esteso che dalla capitale era difficile controllare i confini, sui quali premevano popolazioni desiderose di coltivare i campi, probabilmente rimasti sottoutilizzati dato che nei periodi fiorenti la popolazione si concentra nelle città. Perciò Roma, per evitare grane (vale a dire, invasioni aggressive) decise di concedere in uso quelle terre ai popoli oltreconfine; in cambio chiedeva di sorvegliare i confini stessi da ulteriori estranei. Come bonus, inoltre, si trovava un aumento della produzione agricola che di sicuro non guastava. Questi si insediarono, coltivarono, fondarono villaggi, iniziarono commerci e fecero figli. Col tempo, già dalla seconda o terza generazione parlavano solo latino. alla quarta o quinta ci poteva già essercene qualcuno a Roma, per commercio all'ingrosso o per studio; alla sesta o settima, già ci stavano a Roma per politica o per l'esercito. Alla fine, molti generali erano di origine barbarica (anche perché erano obiettivamente molto più abili, dal punto di vista professionale) e varcarono anche le soglie del potere politico.
Be', prova a rileggere mettendo Washington al posto di Roma, e pensando che ora siamo noi la periferia dell'impero, colonizzata culturalmente dopo la II Guerra Mondiale, con appunto popolazioni che da fuori premono per entrare, pronte a fare i lavori che qui nessuno vuole (ieri i campi, oggi l'operaio), i cui figli hanno l'italiano come lingua primaria, e poi il resto viene da sé. Questo non significa che le infiltrazioni esterne hanno causato lo sbriciolamento dell'impero dall'interno, e che quindi occorre impedirle. Però significa che Roma, di fronte a queste pressioni, all'inizio di tutta la vicenda, forse per la prima volta si è trovata di fronte a un evento decisivo, storico, che non era stato creato da essa, e di fronte al quale si trovava come chi ha il nero negli scacchi: muove per secondo, è condannato a reagire anziché agire. Da quel momento il potere di Roma non ha fatto che scendere.
Ma che cosa aveva causato quella situazione? Paradossalmente, proprio la forza di Roma: era, per definizione, "centro" e le altre regioni erano "periferia". Anche chi non stava nel territorio dell'impero aveva comunque lo sguardo in direzione di Roma, vuoi per commercio, vuoi per politica, vuoi per diplomazia o altro. Roma e le altre sue città erano il punto di riferimento per praticamente tutto, e un sacco di gente ambiva a entrarci. Anche solo entrare nel territorio e viverci, magari diventare cittadini romani, era una prospettiva molto ambita. Avrebbe assicurato una vita più agiata per sé e per i propri figli. Questa stessa capacità di attrazione per le popolazioni, come una calamita, ha portato Roma a subire gli eventi anziché produrli.

E oggi?... Qual è la situazione per gli Stati Uniti?... Mi sembra chiaro che la miopia dell'amministrazione Bush ha portato l'America ad essere sopraffatta dagli eventi, non è più il ciclista in fuga ma è il gruppo che insegue, col fiato corto. L'11 Settembre è stato l'evento che forse ha segnato l'inizio di questo corso, quello che per primo ha messo gli USA di fronte a un fatto a cui dovevano reagire, ma che proprio per questo era già "vincitore" in sé, perché ha "mosso per primo". Da quel momento è stato tutto un inseguimento: Guantanamo, l'Iraq, l'immigrazione dal Messico, l'Iran, la Russia, la svolta sudamericana, la Cina, il protocollo di Kyoto, la questione petrolifera-energetica-situazione mediorientale, il tribunale internazionale per i crimini di guerra, la globalizzazione, le nuove forme di energia e di locomozione, solo per parlare delle questioni principali. Per la prima volta l'America sta diventando "antiquata".

D'altra parte, anche dal punto di vista puramente economico e aziendale, sembrano un gigante dai piedi d'argilla: la favolosa esposizione finanziaria per finanziare la guerra e la "lotta al terrorismo" e per tenere in piedi uno status quo mondiale che favorisca le proprie aziende, risulta così imponente che il governo ha dovuto finanziarsi emettendo buoni del tesoro, che sono stati acquistati in gran quantità dalla Cina che ha un surplus commerciale altrettanto impressionante. La conseguenza è che ormai l'economia americana è in mani straniere, e la cosa è accentuata dal dollaro debole, che avrebbe la funzione di facilitare la esportazione delle aziende americane, ma che favorisce anche l'acquisizione delle stesse da parte di acquirenti esteri. Si comincia anche a discutere se sia il caso di passare all'euro come valuta per il mercato petrolifero, e la crisi dei subprime sta portando conseguenze di larga scala. D'altra parte c'è anche chi dice che l'Iraq volesse proprio commerciare il petrolio in euro, e che sia stata questa la vera motivazione dell'intervento americano. Il fatto che ora, dopo tutto quello che è successo, si torni a parlarne significa in sostanza che il tentativo di porre a tacere la questione è fallito, così come quello di frenare lo sviluppo di energie pulite e di negare il riscaldamento globale.

Essendo abbonato al Time sto seguendo la campagna presidenziale americana da un osservatorio privilegiato, e l'impressione che ne sto traendo è che la vera domanda non è se vincerà un repubblicano o un democratico, ma quale democratico vincerà - e man mano che ci si avvicina al 2008 anche questa domanda sta diventando sempre più scontata. In pratica, sembra quasi di poter dire che il prossimo Presidente sarà chi vincerà le primarie democratiche. I candidati repubblicani sono un insieme di individui improbabili quando non sospetti, anziani, poco dinamici, pochissimo carismatici e con l'aria di essere dei "riciclati" messi lì da qualcun altro, al soldo delle lobby più potenti. Sono finti. Nel partito c'è discordia e indecisione: insistere nella linea dura su tutti i fronti, ignorando i molteplici fallimenti - e creandone altri, o venire incontro ai democratici ammettendo implicitamente il proprio torto? Qualunque cosa sceglieranno, non farà che rafforzare l'area progressista. Si sono messi in un vicolo cieco.

Non è l'America ciò che sta finendo. E' il tipo di vita che gli Americani avevano impostato per sé (e per gli altri) da molto tempo, e di conseguenza anche il modo con cui si rapportavano al resto del mondo. Un mio amico (http://www.nichilista.it/ - anche fra i links) è stato a lungo in America e mi spiegava che il loro territorio è così vasto, sterminato, che un americano può passare tutta la sua vita senza mai uscire dai confini, anche traslocando molte volte, ed è quello che succede a molti. Ci sono film di Spike Lee che raccontano di ragazzi di gang che non vivono più di 40 anni e che per tutta la loro vita non escono dal loro quartiere di Harlem o del Bronx, perché se lo facessero i rivali delle altre gang gli sparerebbero. Nelle cittadine qualunque le notizie vengono dal giornale della contea o dalla radio o TV locale. Già Washington o New York sono lontane; ma Londra, Parigi, Roma, Berlino, Mosca... sono su altri pianeti, visti da lì - e magari i cereali nel loro cucchiaio la mattina vengono proprio da quei pianeti lontani a cui loro succhiano il sangue senza neanche saperlo. Ecco, quello che credo di aver capito (ho parenti americani e sono stato là) sono due cose: che l'America, vista da dentro, è come una madre premurosa che nutre (anche troppo) e protegge i suoi figli e li fa star bene, ma lo fa poggiandosi sul sangue e sulla sofferenza dei figli degli altri, e anche sul pianeta stesso. e che l'America, vista da dentro, è un mondo a sé stante, una incredibile gigantesca astronave che contiene tutto quel che può servire, dai paesaggi ai climi più disparati, dalle città ai piccoli villaggi, ogni tipo di persone e di incontri e situazioni, e cose da comprare e novità tecnologiche e posti (interni ovviamente) dove andare in vacanza, e un'infinità di tipi di vite possibili e frequentazioni le più diverse. E' talmente varia che non viene neanche voglia di uscire; anzi, se si ha voglia di vedere stranieri niente di più facile, sono loro a visitare il nostro paese, allo stesso modo e per gli stessi motivi per cui una volta tutti convergevano verso Roma. Ma tutto questo comporta almeno uno svantaggio per loro, che riassumerei in questa frase: noi (la periferia) sappiamo di loro molte più cose di quante loro ne sappiano su di noi. Una volta mentre ero là, quando parlando con un tipo gli ho detto che sono italiano, quello mi ha chiesto se qui ci spostiamo con gli elefanti o abbiamo già le auto; io invece, su di loro ad esempio so che giovedì 29 novembre, alle 20 ora della costa est, si è svolto il dibattito dei candidati repubblicani ed è andato in diretta su Youtube. Il punto è che tutto quel loro auto-farsi-pubblicità con i film, le tendenze, le arti, le novità tecnologiche, l'american way of life, ha portato il mondo a puntare gli occhi verso di loro, a scrutare ogni loro movimento, seguirne ogni respiro, vuoi per prenderli come esempio vuoi per distaccarsene; fatto sta che sono il paese più osservato del mondo. E come ho già detto, quest'attenzione non è affatto reciproca. Questo è, guarda caso, proprio la premessa perché accadano dei fatti indipendenti da sè, a cui occorre reagire. Ossia: subire gli eventi anziché generarli. Già adesso, di fatto, nei confronti di Russia, Cina, Venezuela (e quasi tutto il Sudamerica), India ecc, si trovano in posizione di inseguitori col fiato corto, quando non impotenti.
Proprio queste due cose dovranno cambiare - e cambieranno - dell'America. Solo se sapranno avere più rispetto (meno rapine) per gli altri paesi e le altre civiltà, e se avranno più curiosità e apertura per il "mondo esterno", potranno continuare a prosperare ed evitare di fare la fine di Roma. Stiamo andando verso un mondo multipolare, profondamente diverso dal mondo spaccato in due dalla guerra fredda: ogni zona del pianeta farà capo a una certa nazione-guida o a un gruppo di nazioni, con dei valori tipici, un certo modo di vivere e una certa concezione dello stato. Il fatto che ce ne saranno più di due dovrebbe scongiurare contrapposizioni rigide, anzi più ce ne saranno più si potrà parlare di "convivenza di mondi"; a patto che nessuno sia troppo più grosso o potente degli altri...

[PS - Time ha messo MDI, l'auto ad aria compressa (vedi il mio primo post) tra le invenzioni dell'anno!]

martedì 23 ottobre 2007

Non dobbiamo abituarci

Oltre al link del titolo, Vedi anche:
http://www.movisol.org/ulse233.htm

La pagina a cui punta il link del titolo è un filmato un po' inquietante. Si tratta probabilmente di un filmato di repertorio degli anni 50/60 di un esperimento in un poligono militare. Un cannone d'artiglieria viene caricato con una piccola bomba atomica che viene sparata a qualche km di distanza, e fatta detonare. Nonostante sia un ordigno a bassa potenza (i testimoni non sono poi così distanti dall'epicentro, guardate verso la fine quando la telecamera va dall'esplosione agli altri cameraman) non c'è dubbio che il botto è notevole: la vernice sull'auto e sul bus (non certo vicini) prende fuoco per il calore, la tenda s'incendia e i maialini sui supporti vanno arrosto, e poi l'onda d'urto ribalta bus e auto, fa volar via la tenda e fa oscillare il boschetto di pioppi. Questo ad alcuni km di distanza e con un aggeggio non più grande di un'anguria. Ricordi della guerra fredda?...

Non proprio, o almeno non solo. Tutti sono a conoscenza della questione nucleare dell'Iran e in medioriente in generale. Al di là del dubbio se sia davvero un rischio reale o un'altra invenzione di Bush in cerca di pezze giustificative e di Ahmadinejad che "gonfia" la vicenda per fare il "paladino" dell'islam di fronte ai suoi, ci sono notizie dei progetti di riarmo atomico nella regione (http://www.internazionale.it/firme/articolo.php?id=17338) da parte invece di tutti gli alleati degli USA, in barba ai trattati di non proliferazione (firmati ad es. dall'Iran, improbabile possessore, ma non da Israele, possessore accertato di armi atomiche) e a qualunque buonsenso. Sono venuto a conoscenza anche di progetti di abbassare la potenza delle bombe atomiche a 1, 10 100 e 1000 kilotoni, e investire nei progetti di "bunker-buster" (missili capaci di perforare il terreno e il cemento armato per diversi metri prima di detonare) atomici, in modo che il danno all'esterno sia minore e tutta la potenza si scarichi sul vero obiettivo. Ma questi sono solo auto-rassicurazioni da dare in pasto al pubblico perché deglutisca la pillola facendo meno storie. Una bomba da 1 kilotone è equivalente a 1000 tonnellate di tritolo, non contiamoci balle. Il vero rischio è che queste mini-bombe, con quest'immagine di ordigni da poco, "tascabili", passino dal ruolo di deterrenti (come è stato finora) a quello di armi ordinarie da usare alla bisogna con sempre meno scrupoli al diminuire della potenza. Una volta "sdoganate" sul campo di battaglia, si darebbe la stura al loro impiego in tutto il mondo, non più solo alla minaccia di impiegarle. L'unica speranza sarebbe che il paese che la userà per primo, per quanto piccola, si guadagnerà una tale ondata di disapprovazione da parte di tutto il mondo, che pur vincendo sul campo perderebbe la faccia.

venerdì 19 ottobre 2007

"Canto del servo pastore" di Fabrizio De André: un'analisi critica


Dove fiorisce il rosmarino
c'è una fontana scura
dove cammina il mio destino
c'è un filo di paura
qual'è la direzione
nessuno me lo imparò
qual'è il mio vero nome
ancora non lo so.

Quando la luna perde la lana
e il passero la strada
quando ogni angelo è alla catena
ed ogni cane abbaia
prendi la tua tristezza in mano
e soffiala sul fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume.

Sopra ogni cisto da qui al mare
c'è un po' dei miei capelli
sopra ogni sugara il disegno
di tutti i miei coltelli
l'amore delle case
l'amore biancovestito
io non l'ho mai saputo
e non l'ho mai tradito.

Mio padre un falco mia madre un pagliaio
stanno sulla collina
i loro occhi senza fondo
seguono la mia luna
notte notte notte sola
sola come il mio fuoco
piega la testa sul mio cuore
e spegnilo poco a poco.

Il brano fin dal titolo, e poi anche nel testo per elementi di somiglianza che verranno approfonditi, richiama abbastanza palesemente il "Canto di un pastore errante dell'Asia" di Giacomo Leopardi. Si compone di quattro strofe, ognuna a sua volta bipartita in due gruppi di quattro versi ciascuna, e in cui tale divisione è sottolineata musicalmente da un cambio di tonalità che cade esattamente a metà strofa, tra il quarto e il quinto verso (di ciascuna). Mentre i primi quattro versi fanno da premessa, gli altri quattro assumono toni elegiaci per così dire, a causa della loro maggiore carica emotiva, e sono i principali portatori di significato all'interno della strofa.

Di queste quattro strofe, si può osservare anzitutto come la prima, la terza e la quarta siano essenzialmente dichiarative, in sostanza descrittive; la seconda invece in questo si dimostra differente, in quanto contiene un insegnamento, un suggerimento di vita; è anche l'unica in cui si rivolge direttamente all'ascoltatore - "prendi la tua tristezza..." con un effetto simile a un attore che guardi nella macchina da presa senza che sia in corso una ripresa in soggettiva. Considerata questa sua caratteristica, è stridente l'anomalia di questa strofa rispetto al topos degli interventi - diciamo così - "edificanti" espliciti che un autore può inserire nella sua opera - anche se nella sua forma più esplicita appartiene alle usanze del passato (Manzoni ad esempio), che in genere comparivano più facilmente come chiusura della composizione, quasi a sfruttare come prova e premessa tutto ciò che le ha precedute nel testo, e a suggellare il tutto con una considerazione che al tempo stesso riassume e dà senso al tutto. Qui invece la strofa-chiave, l'unica diversa e forse la più bella, compare per seconda. Perché non è stata messa per ultima? Ritengo che l'ipotesi più probabile sia che De André volesse esplicitamente rifuggire dall'apparire come un "maestro" saccente, e quindi ha "nascosto" il messaggio all'interno del pezzo, quasi a metterlo fra parentesi, con modestia, ma con un effetto forse anche più dirompente in chi non è distratto; tanto più che De André raramente nel corpus dei suoi lavori si rivolge direttamente all'ascoltatore con la seconda persona (sarebbe necessaria un'indagine specifica nell'opera omnia per poterlo quantificare con certezza, ma a mente ricordo solo l'ultima strofa de "La città vecchia" - e anche in quel caso è la più "intensa" e quella che contiene il messaggio politico principale, ma compare "classicamente" alla fine). Ha anche la particolarità di contenere una sola rima, "fiume/piume": evidentemente l'autore era più interessato al messaggio che all'estetica formale.
Il mimetismo "a scopi di modestia", come l'ho definito prima, è aiutato, per così' dire, dalla brevità della pausa fra una strofa e l'altra, e dal netto cambio di argomento nell'attacco della terza strofa. Questo costringe l'ascoltatore a rivolgere subito l'attenzione a nuovi elementi, lasciando cadere una frase su cui probabilmente si sarebbe soffermato (altro motivo per cui usualmente si mettono in fondo). Altro topos legato a questo accorgimento mimetico, è quello legato alla conoscenza che nella sua forma più approfondita è nascosta, di tipo "massonico" e iniziatico, per cui il maestro la trasmette in forma implicita, nascosta fra le pieghe del discorso principale; sta al discepolo più perspicace (è quindi una strategia che seleziona le menti più acute) cogliere il vero messaggio, che è quello nascosto.

Restando all'interno della stessa seconda strofa, ma parlando del merito del messaggio, le prime quattro strofe - come già accennato - sono la premessa (infatti, anche se la seconda è diversa dalle altre tre per i motivi detti, conserva la medesima struttura globale): quando c'è una situazione oscura, confusa e che disorienta (è nelle notti di foschia che si può vedere un alone intorno alla luna), e come un piccolo passero ci si sente minuscoli rispetto alla lunghezza della strada da fare e che si è perduta, quando i nostri sogni (l'angelo) sono bloccati a terra - in modo quasi paradossale come immagine, direi - dalla dura immanenza della realtà concreta, che lascia ben poco margine di libertà, quando siamo oggetto di aggressività gratuita da parte di un potere (il cane - da guardia?), allora l'ascoltatore è invitato a considerare coscientemente la propria tristezza ("prendi... in mano"), a non far finta che non ci sia, ma a "guardarla" e poi liberarsene soffiandola nel "fiume" (gesto delicato quindi), come a disperderla e diluirla nella vastità del mondo, in quel fiume che sfocerà nel mare di una grandezza indefinita. Nel gesto del soffiare, invece, è evidente la non-violenza dell'atto liberatorio: un gesto semplice e delicato, più adatto per qualcosa di caro e prezioso che non per la tristezza, che è qualcosa di cui ci si vuole liberare; quasi come se questa fosse un dono che si fa al mondo. Ma forse è proprio questo l'accostamento che vuole dare: anche la tua tristezza ti deve essere cara e preziosa: solo così potrai liberartene, solo se la ringrazierai. Diverso il trattamento riservato al dolore: la pratica di spalmare qualcuno di melassa o altra sostanza collosa per poi farlo rotolare nelle foglie e nelle piume era, se ben ricordo, una comune forma di gogna pubblica, anche se non ricordo più per quale colpa (sarebbe interessante scoprirlo); il dolore quindi va messo alla gogna, fatto oggetto di auto-ironia (ma solo dal diretto interessato). Ma qual'è l'essenza della gogna? Sostanzialmente, direi, esposizione pubblica e dissociazione tramite lo scherno. Dunque qui la cosa è più difficile: deridi il tuo dolore pubblicamente, non lasciare che sia lui a condurre. Tuttavia anche in questo caso la frase contiene una sfumatura quasi "affettuosa", simboleggiata da quel gesto del "vestire" e del "coprire". Anche in questo caso quindi è ben lontana l'idea di atteggiamenti violenti o aggressivi. Si invita a "vestire" un dolore - che si presume "nudo" - perché senta meno freddo, usando l'ironia, ma continuando a nutrire una sorta di senso protettivo.

Spostando l'attenzione sulle altre tre strofe, in linea generale si nota l'ambientazione all'aria aperta, parallela a quella del "Canto di un pastore errante" di Leopardi, con la citazione di elementi prevalentemente naturali del paesaggio. La differenza sta proprio nel tipo di paesaggio, che se in Leopardi erano le steppe e le pianure circondate da monti dell'Asia centrale, qui è spiccatamente un'ambientazione mediterranea - il rosmarino, il mare - che richiama direttamente il paesaggio ligure familiare all'autore. Dalla parte delle somiglianze con Leopardi, invece, si possono indicare l'innocente ignoranza del protagonista nella prima strofa, simile a quella del pastore di Leopardi, sottolineata dall'espressione "naif" dello scambio imparare/insegnare tipico delle persone poco istruite; e soprattutto la presenza della luna, che ha un ruolo centrale in Leopardi e che qui compare nell'ultima strofa; altro elemento comune fra la composizione leopardiana e questa, è la condizione di solitudine del protagonista, che però – a differenza del 'canto notturno' – non è motivo per domande inquiete rivolte alla luna, ma accompagna un atteggiamento quasi rassegnato, privo di tensioni verso l'alto o di ambizioni di sorta; questo in definitiva è coerente con la poetica di De André sulla condizione degli ultimi, e più volte ha manifestato ammirazione per chi accettasse il proprio umile stato senza volerlo cambiare (ma con un significato diverso da quello, ad esempio, di un Verga: qui è un ammirare l'umiltà, là è più un deprecare l'ambizione).

Entrando nella disamina più dettagliata e partendo dall'inizio, nella prima strofa si nota subito un parallelo, sottolineato dalla rima, fra il rosmarino e il proprio destino, e poi fra la fontana scura e la propria paura. Il rosmarino riveste qui un ruolo positivo (fiorisce) contrapposto alla scurezza della fontana, che al tempo stesso ne è il sostentamento. Si capisce che il rosmarino può fiorire solo in prossimità della fontana, e probabilmente l'ambiente esterno è arido e ostile; d'altra parte questo tipo di pianta cresce tipicamente in punti improbabili, e riesce a sfidare condizioni di vita stentate. Ne risulta quindi l'immagine di una vita – quella del protagonista – dura e stentata, che sopravvive solo grazie a un elemento allo stesso vitale e inquietante – la fontana scura. La paura è rivolta al futuro – forse il timore che la fontana si secchi? Il “filo” di paura sembra alludere al filo d'acqua che tiene in vita la pianta. Parlare di futuro e accennare alla direzione da prendere (e qui si esce dalla metafora del rosmarino) è un tutt'uno; e coerentemente anche qui c'è la stessa incertezza, il non (voler) sapere cosa sia giusto e cosa sbagliato (altro tema tipico in De André) sottolineando la propria solitudine anche nel passato, il proprio aver dovuto fare ricorso solo alle proprie forze; addirittura il protagonista afferma di non sapere quale sia il proprio vero nome, con un accenno a quella perdita di identità tipica degli “ultimi” di De André. In definitiva, la prima strofa contiene una tensione fra passato-presente (precario) e futuro (ignoto), a cui si allude quando si parla di nome (che viene dal passato) e di non saperlo ancora (con accenno a futuri sviluppi).

Saltando la seconda strofa, che è stata già esaminata, passo alla disamina della terza: il “cisto” risulta essere (fonte: http://www.wikipedia.org ) un piccolo arbusto dai fiori bianchi, tipico della macchia mediterranea, così come lo è la pianta di sughero – il che confermerebbe la natura del paesaggio ipotizzato per il brano – e tipico dei suoli degradati, il che va a conferma dell'ipotesi sull'ambiente stentato a cui si accennava a proposito della prima strofa. In ogni caso, si nota che per entrambi questi elementi l'autore vi lega qualcosa di suo: i capelli o il disegno dei suoi “coltelli”. Di più: su ogni cisto e su ogni sugara è presente una traccia del protagonista. Questa regolarità è simile a quella presente in “Le acciughe fanno il pallone”:

ogni tre ami
c'è una stella marina
amo per amo
c'è una stella che trema

ogni tre lacrime
batte la campana

[...]

ogni tre ami
c'è una stella marina

ogni tre stelle
c'è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola

[...]

ogni tre ami
c'è una stella marina
ogni tre stelle
c'è un aereo che vola

ogni balcone
una bocca che m'innamora



in cui si vuole evidenziare la monotonia della vita di stenti di un pescatore, la regolarità in cui il tempo si perde e le giornate diventano identiche, perdendo il loro stesso significato, e la vita si srotola inesorabilmente senza nessuna progressione, nessun telos cui tendere, fino alla morte. Qui invece la regolarità si sposta dall'ambito del tempo a quello dello spazio (“sopra ogni cisto da qui al mare”), restando nell'ambito semantico “spaziale”, richiamato spesso: il non sapere la direzione nella prima strofa, il passero che perde la strada nella seconda strofa, la collina dell'ultima strofa. Qui è il paesaggio a non avere una direzione preferenziale, a essere indistinto agli occhi del protagonista. Come già accennato, ci sono tracce del protagonista sparse per il paesaggio, i suoi capelli e i disegni dei suoi “coltelli”. I capelli in genere sono simbolo di forza (si pensi al mito di Sansone), e perderli coincide in genere con un trauma, un evento negativo (così come lo sbiancare dei capelli); sullo stesso tono si può interpretare la rappresentazione dei coltelli, che a mio avviso andrebbero visti come, per così dire, i coltelli “subiti” più che quelli “usati”, tutti gli eventi traumatici subiti dal protagonista e disegnati sulla corteccia per sfogo, al posto e forse in contrapposizione ai tipici "cuori" che vi si trovano disegnati usualmente. Tanto più che si tratta di disegni di coltelli, non di oggetti effettivi - una allusione alla "pipa" di Magritte?... Comunque, Questa interpretazione confermerebbe il valore negativo di cui è carico il paesaggio agli occhi del protagonista. La seconda parte della strofa è uno slancio di rimpianto del parlante per un tipo di vita che non ha mai conosciuto; anche qui come nella prima strofa si trova una sgrammaticatura ("saputo" per "conosciuto") che ne sottolinea l'ingenua ignoranza. Quello che non ha mai conosciuto è l'amore nella sua forma più "alta", quello che crea famiglie (delle case) e suggellato dal matrimonio (biancovestito, con evidente allusione all'abito da sposa, resa elegantemente con un calco dagli epiteti omerici); ma non ci dice soltanto di non aver mai provato qual tipo di amore, perché aggiunge che non l'ha mai tradito. Qui non bisogna lasciarsi ingannare dall'apparente incongruenza (come si può tradire una persona che non si ha?) perché quello che si intende è la fedeltà all'idea, a quella concezione dell'amore. Da qui si possono dedurre tre cose: che quel tipo di amore è visto come positivo, anzi forse l'unico che abbia un valore; che per coerenza (una forma di fedeltà dopotutto) ha rifiutato altri tipi di amore, più facili ma più "bassi"; e probabilmente la tristezza e il dolore della strofa precedente sono legati allo stesso motivo.

Diversa l'ultima strofa: se le prime tre sono in qualche modo rivolte al passato, a raccontare quali siano le premesse del suo presente, le coordinate in cui muoversi, o una sorta di flashback; l'ultima è esattamente il momento presente del parlante - proprio come nel 'Canto' di Leopardi, che assume il suo significato da ciò che lo precede, non da sé stesso. Un po' come in un film, se nell'ultima inquadratura ci sono due persone che guardano insieme l'orizzonte, per chi entrasse in sala in quel momento non avrebbe nessun significato in sé, mentre per chi ha visto il film è carica di significati emotivi. è presente un accenno ai genitori ormai deceduti, che stanno sulla collina, al tempo stesso la stessa collina di “Non al denaro...” e elemento “altro” del paesaggio, inquadrato per così dire da lontano, non contaminato dal carico negativo del resto. I genitori anzi si sono trasformati in elementi della scena (il falco, il pagliaio) e vegliano sul protagonista (seguono la mia luna) e citando la luna il brano ritorna, in chiusura, ad affiancarsi al “Canto di un pastore errante” (che è un monologo rivolto alla luna) ma il protagonista si rivolge alla notte anziché all'astro, esprimendo somiglianza fra sé e la notte nella solitudine, e il bisogno di un gesto di calore (“piega la testa sul mio cuore”) e al tempo stesso di oblio (“spegnilo poco a poco”).

In definitiva quello che emerge è la disperata staticità della condizione del protagonista: non c'è evoluzione né tanto meno lieto fine; la sua vita è e rimane sempre la stessa, e l'unico conforto può essere solo il ricordo dei genitori o l'oblio di sé grazie alla fusione con la natura, o un gesto di calore, che però non viene da una persona, ma è attribuito (meglio: richiesto) alla natura. E a tal proposito, anche questa natura, pur essendo a prima vista la generosa macchia mediterranea, si rivela un po' fredda e distante, quasi come in Leopardi.


sabato 13 ottobre 2007

Il bandolo della madrassa

Per una difesa della complessità

Inizierò con un esempio.

Quando si parla di terrorismo internazionale, gli occhi di tutti sono rivolti all'Afghanistan, dove si sta concentrando l'attacco delle forze americane e dei loro alleati; ma forse il centro di tutto è altrove, ed entrambe le parti in campo preferiscono stare lontane dai riflettori, mentre i veri giochi si svolgono, anche se ognuna per motivi diversi.

In un articolo del Time di qualche settimana fa, si soprannominava “Talibanistan” la zona al confine fra il Pakistan e l'Afghanistan, da Peshawar giù giù fino a Quetta. Lì ci sarebbe lo zoccolo duro dei Talebani, che si sono rifugiati oltreconfine, in un territorio che gli Americani hanno più difficoltà ad attaccare perché di uno stato ufficialmente loro alleato. In questa zona i Talebani avrebbero ampiamente mano libera, anzi starebbero rafforzando i loro legami con le scuole coraniche pakistane, che a loro volta si stanno avvicinando ai Talebani: vedi la crisi della Moschea Rossa a Islamabad del luglio 2007. I Talebani cercano alleati contro la NATO, mentre i Pakistani sperano in un aiuto per far cadere Musharraf il 'traditore' che si è alleato con gli Americani e, peggio ancora, ha mandato l'esercito nella Moschea Rossa. La contesa verterebbe solo su quale delle due cose sia prioritaria.

Sembra che la scelta sia di dar man forte in Pakistan piuttosto che muoversi verso ovest. Musharraf si trova in un momento molto delicato: dopo aver tentato invano di ridisegnare l'organico della Corte Suprema, ora si trova a dover attendere un suo verdetto a proposito della possibilità (non potrebbe, secondo la costituzione pakistana – fino ad ora la Corte Suprema glielo ha concesso come eccezione) di restare al potere pur mantenendo una carica militare – e dopo quello che è successo è facile aspettarsi un responso negativo, il cui impatto sarebbe ancor più forte sapendo che la Costituzione prevede due anni di “riposo” prima che un ex-militare possa ricoprire ruoli pubblici. Naturalmente, questo Musharraf non se lo può permettere, né ovviamente Bush.

Infatti è probabile che ci sia proprio l'amministrazione americana dietro il “salvagente” che si sta tentando di lanciare al generale, nella forma di un tentativo di compromesso con l'ex premier Benazir Bhutto, donna, moderata e filoccidentale, nonché avversaria storica del generale. L'altra opzione, quella di Nawaz Sharif, è stata cestinata nel momento in cui è stato ri-espulso in Egitto da Musharraf dopo che aveva finto un permesso di ritorno; le credenziali di Sharif sono ambivalenti: era in buoni rapporti con l'amministrazione Clinton e ha consentito di utilizzare basi nazionali per gli attacchi ai Talebani, ma è anche vero che è stato accusato di malgoverno e corruzione e ha fatto un test nucleare che ha attirato sul paese le sanzioni internazionali.

Con la Bhutto, invece, l'intenzione è quella di rafforzare le fazioni centriste allo scopo di emarginare gli estremisti, ma anche ammettendo che Musharraf possa accondiscendere all'accordo – a lui la presidenza in abiti civili, alla Bhutto la guida del governo e la decadenza delle accuse di corruzione – resta il fatto che esiste il rischio che i sostenitori di entrambi vedano la cosa di pessimo occhio e si sentano traditi, spostandosi quindi agli estremi, ovvero l'opposto di quanto si spera. Un altro punto di difficoltà è come la Bhutto gestirà le Madrase – che ha detto di voler riformare – e l'esercito: nessuna delle due istituzioni ama ricevere ordini da una donna, ed entrambe potrebbero quindi decidere di muoversi autonomamente. Non per nulla Musharraf continua a tenersi nel taschino l'ultima opzione, la legge marziale, che di fronte a tutte queste incognite e ostacoli continua a tenere in considerazione come un jolly da giocare, probabilmente per lui la prima opzione, ma vista come extrema ratio dagli americani perché darebbe ancora più forza agli integralisti e probabilmente darebbe la stura ad una rivolta su larga scala che li porterebbe al potere.

Già, le Madrase e l'esercito. Nonostante l'attacco alla Moschea Rossa, in realtà fra le due istituzioni più importanti (di fatto) nel paese ci sono sempre stati dei legami, così come ora ne esistono fra le Madrase e i Talebani; l'esercito d'altra parte ha sempre annoverato fra i propri vertici uomini vicini all'islamismo radicale, e ora anche fra gli ufficiali serpeggia l'antipatia per Musharraf: l'alleanza con Bush, la Moschea Rossa, le prospettive di un ritorno della Bhutto. Anche i servizi segreti sono dalla stessa parte. È probabile che frange dell'esercito e dei servizi segreti, approfittando della debolezza istituzionale del generale, stiano preparando un colpo di stato per deporre Musharraf e instaurare un califfato islamico con l'aiuto dei Talebani e delle Madrase, per poi – presumibilmente – appoggiare una riscossa dei Talebani stessi in Afghanistan contro la NATO. Se può sembrare improbabile, non va dimenticato che il Pakistan dispone di armi atomiche e che il suo esercito è uno dei meglio armati della regione, rafforzato dalle lunghe dispute di confine con l'India per il Kashmir. È improbabile, del resto, che usino l'arma atomica sul suolo pakistano, perché renderebbero inabitabile il suolo che vogliono liberare; potrebbero passare sottobanco un ordigno da utilizzare in occidente o in Israele.

Come dovrebbero muoversi i paesi occidentali? Appoggiare una legge marziale imposta da Musharraf? Aprire la strada alla Bhutto? Spingere per nuove elezioni (ma si ripensi al caso-Hamas)? Continuare la campagna in Afghanistan come se niente fosse? Qualunque scelta sembra solo rafforzare gli integralisti, che dal canto loro potrebbero essere a loro volta solo in attesa del momento migliore per agire, forse quando Musharraf sarà più vulnerabile o più avanti, durante le elezioni americane o il passaggio di consegne alla Casa Bianca, il momento più delicato. Come dicevo all'inizio, se i Talebani tengono il tutto sotto segreto per ovvi motivi, anche gli occidentali preferiscono far finta di niente - perché ovviamente sanno già molte cose - di fronte all'opinione pubblica, un po' per non accentuare il fallimento di Bush e della sua politica nella regione, un po' per non indebolire Musharraf, un po' per non dare l'impressione di essere all'angolo.


Tutto questo per dire che è tipico di chi “non sa”, dare ai problemi soluzioni immediate, tranchant ed estremamente semplici, che si tratti di una piccola faccenda pratica o di problemi internazionali. Di più: il bifolco crede anzi di saper già tutto, e di fronte all'atteggiamento dubbioso o riflessivo della persona colta lo interpreta – paradossalmente - come “ignoranza” e sbotta, parlando svelto come uno 'che la sa lunga': “Ma fai così, no? Possibile che non ci arrivi? Sei proprio stupido!”. Inutile precisare che spesso e volentieri le soluzioni di questi geni lasciano il problema lì dov'è e anzi, nella maggior parte dei casi lo peggiorano e lo rendono ancora più insolubile, o risolvibile ad un costo ancor più alto di quanto non fosse prima. Ricordo ancora qualcuno che invocava l'atomica sull'Afghanistan dopo l'11 settembre, senza capire che se comincia a usarla uno la useranno tutti con sempre meno scrupoli, ancor più ora che l'avversario non è un esercito ma una rete sotterranea pronta a tutto e che arriva facilmente in ogni punto del globo. E ricordo anche un muratore con cui lavoravo, che di fronte a un cardine di un cancello staccato dallo stipite, ha detto “lo saldo io, lo saldo” - si è preso una scala, e ha saldato... il cardine. Il cancello non si poteva più aprire. Hanno dovuto tagliare entrambi i cardini col disco abrasivo, far cadere il cancello, rimuoverli, metterne di nuovi e rimettere il cancello a posto.

La realtà è complessa e, anche se ne siamo tentati, non dobbiamo cadere nel tranello delle soluzioni più a portata di mano. D'altra parte è per questo che non ho messo una idea di soluzione per il caso pakistano: in base alle informazioni di cui dispongo, semplicemente non ne vedo. Forse l'unica soluzione possibile - purtroppo - sarà venire a patti con questa gente, o almeno con le frange meno oltranziste, nella speranza che poi siano loro a convincere i più caldi. E in effetti mi risulta che - fra grandi proteste ufficiali - sia questa la strada che sta tentando Musharraf. Si ringrazia per questa situazione: George W. Bush, Donald Rumsfeld, Dick Cheney, Paul Wolfowitz, Lewis Libby, Karl Rove, John Bolton e tutti gli altri Dottor Stranamore e compagni di merende.

Il link del titolo, invece, sono informazioni di cui veramente pochi dispongono. Ogni anno che esce, per me è l'articolo dell'anno. Non ho ancora finito di leggerlo ma quello del 2005 mi aveva chiarito parecchie cosette... Fondamentale. Non lo troverete nè sui giornali nè in TV.

martedì 18 settembre 2007

Tutto diverso












Mi sono riletto solo adesso il primo post. Cambiato tutto: e per fortuna. Che posto... (apri il link del titolo in altra scheda) vacanza da solo in tenda, Radio3, vari libri, Internazionale e il PC. E il mare coi pescetti ficcanaso, un sole feroce e vegetazione che resiste - anche nei posti più impensati - in tronchi contorti e screpolati, secchi, ma con foglioline verdissime. Come ogni volta che entro in mare (la piscina non è viva) ho desiderato avere le branchie.

Il potere della Rete

A prescindere dal fatto che si sia d'accordo o meno, l'evento del V-Day è stato il segno - penso irreversibile - del fatto che la rete ormai non è più (nel caso qualcuno ancora lo credesse) semplicemente un divertimento, uno sfizio per tecnofili, ma sta incrociandosi con le nostre vite reali. da esse prende gli spunti per la diffusione di appelli come quello di Grillo, e al tempo stesso essa fa da spunto all'azione delle persone: penso che il 90% almeno dei partecipanti abbia appreso la cosa attraverso la rete. Ormai lo si dà per scontato, ma non lo è; pensate: qualcuno ha letto alcune pagine HTML sullo schermo del computer, ha letto dell'iniziativa, magari ha riletto meglio per evitare malintesi, poi ha verificato i suoi impegni per l'8 settembre, e il giorno interessato è uscito di casa per andare a firmare. In molti casi avrà anche acceso un motore per farlo. Quello che voglio dire è che non c'è niente di più immateriale, di più evanescente di una pagina web: è una sequenza di bit, un mucchietto di dati che occupa pochi centimetri quadrati di uno dei tanti hard disk di qualche server situato chissà dove. Eppure ha messo in moto 300.000 persone, ha fatto tremare i massimi livelli del potere, ha scatenato orde di editorialisti che avevano ignorato la cosa prima della data e ha fatto parlare di sé in tutto il paese e anche fuori (ad esempio, http://www.beppegrillo.it/immagini/Int_Herald_Tribune.pdf ).

E in fatto di potenzialità di Internet, siamo solo all'inizio: probabilmente quello che abbiamo visto fino a oggi, fra qualche anno sarà definito un "assaggio" della Rete, perché molto probabilmente l'internet "vero" sarà mobile e la sua copertura sarà paragonabile al sistema GSM. E spero davvero che sia così in breve tempo, d'altra parte ora i tralicci per i ripetitori li hanno già (gli stessi del GSM) e quindi la copertura del territorio dovrebbe richiedere meno tempo - e meno spese!... Teniamo d'occhio le tariffe... - perché per come è stata fino ad oggi la Rete, imponeva la dolorosa scelta: vivere (amicizie, uscite, partner, gite, aria aperta, lavoro, ecc) o navigare. Il classico nerd informatico è uno con qualche problema di relazioni sociali (...). Perché devo aspettare di essere davanti a una scrivania per postare qui sopra? Perché devo fare lo stesso se ho assistito a un fatto di interesse pubblico, ho scattato qualche foto e/o un video e voglio renderlo pubblico? Per ora sto restando fuori da SecondLife solo perché o vivo lì, o vivo qui. In Giappone, dove il wireless è ormai cosa di massa, ci sono siti di social networking (tipo MySpace, per capirci) che dialogano col tuo telefonino (ovviamente è molto più pratico portarsi dietro uno smartphone anche ben equipaggiato piuttosto che un portatile, se non lo si usa anche per lavoro); se tu ad esempio entri in un locale e attivi la funzione (da spegnere per strada! o no?...) lui magari ti avvisa che lì dentro ci sono tre persone - iscritti anche loro al sito - che come te sono appassionate di scacchi e magari se vuoi, puoi invitarli a una partita seduta stante.
Questo è un uso rivoluzionario della rete. La sua essenza rimane la stessa: una tecnologia di trasmissione e condivisione delle informazioni. Tuttavia, fino ad ora il fatto di essere costretti davanti a un PC ci portava a un approccio "ricerca-risposta" e a fruire di informazioni di tipo complesso con testi lunghi, linguaggio e registro dello scritto, come replica degli articoli e dei libri, oltre a contenuti multimediali di raffinatezza crescente all'aumentare della banda passante disponibile. Invece ora diventa possibile anche sfruttare informazioni più spicciole ma che hanno molta attinenza con la vita quotidiana; si può scoprire che il proprio vicino di casa va a lavorare nello stesso quartiere e organizzare un car-sharing, risparmiare e inquinare di meno. Questo significa che la vita reale e la "seconda" si incroceranno, arriveranno a sovrapporsi e trarre stimoli una dalla reazione dell'altra. Le conseguenze sociali a lungo termine sono difficilmente prevedibili ma sicuramente notevoli. Forse è quello che ci salverà, ma di sicuro ci cambierà.
C'è solo un aspetto che può preoccupare del nuovo approccio: sapere di essersi inseriti, in ultima analisi, in un database. La complessità della rete "classica", il suo contenuto di informazioni di alto grado semantico e interconnesse fra loro, la rende difficilmente gestibile e controllabile; ma con un database è un altro discorso. E' un caso che l'esplosione dei siti di social networking sia avvenuta - mi pare - in una fase di maturità di software come Oracle e SAP, concepiti appunto per gestire enormi database?
C'è un ultimo aspetto notevole di questa cosa: Noam Chomsky ha scritto che uno dei sistemi che il potere usa per tenere le masse sotto controllo - essendo chiaramente in netta minoranza numerica - è quello di isolare le persone e ridurle a singoli. Il singolo è impotente. Occorre indirizzare la gente verso le cose superficiali della vita, per esempio il consumo. Occorre creare pareti artificiali, tra le quali rinchiudere la gente e isolarla (Noam Chomsky, "Due ore di lucidità", ISBN 88-8490-324-6).
Mi colpì soprattutto il disegno che accompagnava il passo: dei grassoni in camicia bianca, dentro ai loro cubicoli che li separavano uno dall'altro, erano tutti chini in atteggiamento adorante verso un modellino di auto; sottigliezza inquietante, le automobiline avevano attaccate un paio di manette. Ovviamente i grassoni non percepivano nemmeno l'esistenza delle barriere, perché voltavano ad esse le spalle. La Rete oggi permette di aggirare queste barriere e facilita la formazione di gruppi di qualunque tipo. Questo per il potere può essere la cosa più pericolosa. Le informazioni circolano più rapidamente e si arricchiscono delle altre lungo la loro esistenza, le azioni diventano più organizzate e incisive perché coinvolgono più persone; e intanto quelli si mordono le mani perché sanno che oltre a essere abbastanza incontrollabile, è pure indistruttibile fisicamente: la Rete, per chi non lo sapesse, era un progetto dell'ese*cito americano per collegare le basi fra loro in modo che complessivamente potesse continuare a funzionare anche nel caso qualche base venisse attaccata con armi at*miche. Già all'inizio, poteva continuare il funzionamento anche se più nodi fossero stati eliminati. Ora è assolutamente impensabile sperare di spegnerlo in qualche modo, escludendo sabotaggi alle centrali elettriche nell'80% del pianeta nello stesso momento. Ma rimarrebbero i satelliti e le dorsali di fibre ottiche sul fondo dell'Atlantico... A parte gli scherzi, è possibile che sia un buon sistema perché la società ritrovi se stessa, reinventando lo "stare in piazza" delle generazioni precedenti: solo che ora, la nostra piazza è il mondo. Semmai, vorrei che non servisse solo a trovare nuovi amici o partner, ma più in generale a rendere più consapevoli e informate le persone, in modo che riprenda vita quella "società civile" che l'individualismo occidentale ha avvelenato, seminando l'inizio della propria morte.

PS - Se si è stati attenti qua e là ho usato qualche trucchetto per non finire su Google per le parole sbagliate...

sabato 11 agosto 2007

finalmente

Da queste parti passerò il centro di agosto. Da solo, in tenda, con dietro il mio vecchio portatile e i primi sintomi del web-addicted. Ammiro gli amici che d'estate girano e vedono città e capitali estere, ma ogni anno è più forte di me: devo entrare in contatto col Mare. Adoro nuotare e ancora di più adoro stare sotto... E poi sono veramente uno straccetto dopo un anno a dormire 4 ore (in media) per notte e impiegare 2 ore + 2 per il tragitto del lavoro. Già adesso mi càpita di sudar freddo, così solo x stanchezza. Non oso pensare di passare 2 settimane in piedi come i cavalli a girare centri metropolitani, asfalti roventi, 20kg sulle(s)palle dalle 8 alle 22... nono.
Invece c'è un altro motivo per cui ho scelto la Liguria, ed è perché non sono lontano da Nizza...

http://www.mdi.lu
http://www.mdi.lu/fra/affiche_fra.php?page=citycats


è un po' che li adocchio e adesso non mi scappano: voglio vedere dal vero; se è come sembra, la mia prossima auto è già decisa: ad aria compressa. Basta tener conto del fatto che la corrente consumata per fare un pieno di aria nelle bombole - aria dico, nulla di pericoloso quindi - vale circa 3-4 € e il modello più grande (quello nel secondo link) ha nella versione solo ad aria un'autonomia di 180-200 Km. Vuol dire che con 4€ faccio 180 Km. Vuol dire che divento ricco perché spendo uno sputo rispetto a chiunque altro. Vuol dire che il mio inquinamento è zero. Vuol dire che anche se la prendo a rate si paga da sola. Vuol dire che dal tubo dietro esce aria a 20 sottozero per cui l'aria condizionata non è opzionale e non toglie potenza. Pesa (la più grossa) 850 Kg, molto meno quelle da città, per cui non serve tutta la potenza che porta in giro tonnellate di ferro. Posso lubrificare il motore con olio alimentare perché il motore non scalda oltre i 40 gradi per cui basta lubrificanti sintetici o petroderivati. E soprattutto posso staccarmi dal petrolio (almeno nei trasporti) prima che diventi un bene per cui ci si azzuffa (ho come l'impressione che stia già accadendo....). Per i bigami e per chi fa molta autostrada ci sono anche le versioni ibride tipo Toyota Prius.
Ma prima, zabato e domenica inauguro la mia ora di libertà con una bella puntata in Valtellina. Ma per questo tema preferisco lasciarlo spiegare a Panciollo che è molto più bravo di me e qui sono le 2 e passa come al solito. Quando arrivo al mare monto la tenda e dormo per due giorni.